venerdì 29 febbraio 2008

Vista da qui

Ecco il racconto vincitore della prima edizione del concorso letterario "Io Racconto" (Romagna).

Vista da qui (di Luca Giacomoni)

Uscivamo insieme da circa nove settimane quando lei una sera mi dice “Seguimi”.
Mi porta oltre la periferia di Ravenna, in quella strada che scorre tra le industrie chimiche, giù sino al mare. Gran fissa la sua per le industrie chimiche e per i gas che rilasciano nell’aria. Guida con il volto in direzione alla strada, pare quasi sorridere. Osservo le sue mani stringere il volante e sinceramente non capisco perché stiamo percorrendo tutto questo asfalto sbriciolato. Parcheggiamo in prossimità dei magazzini portuali e mi fa cenno di andarle dietro per un sentiero di terra battuta ed erbacce. Di giorno è possibile vedere i grandi numeri rossi capeggiare sulle facciate degli hangar per la raccolta delle merci, ma adesso è buio pesto e non ricordo di essere mai stato qui. Mi fa strada sino ad un ponte di legno che traversa un canale dalla superficie immobile. Ci troviamo vicino alla zona palustre e l’acqua appare densa e nera quanto la notte.
“Eccoci arrivati” mi dice facendo segno alle mie spalle, “la vedi?”
Io ascolto.
“I gas di scarico che produce ogni giorno sono tra i più nocivi consentiti dalla legge”.
Guardo nuovamente e vedo una fabbrica illuminata a giorno da centinaia di luci e riflettori. Si trova a circa sei-settecento metri di distanza e laggiù sembra non arrivarci la notte. Cazzo, mi viene da pensare osservandola.
“Le schifezze che rilascia nell’aria sono sulla soglia dei livelli consentiti” dice lei poggiando i gomiti sul parapetto del ponte. Anch’io faccio lo stesso e osservo di sotto la superficie liquida del canale. Scopro che tutto ci si riflette sopra. Tutta quella quantità di neon e fari vengono ricopiati per illuminare il buio sotto di noi. Uno spettacolo. Sembra essercene due di fabbriche. Una nascosta sotto il livello dell’acqua. Da restare ad ammirarla anche una notte intera.
“Lei e tutte le altre qui intorno sono la causa di tutto” specifica lei.
“Tutto cosa?” chiedo.
“Di tutto” mi ripete “di quella foschia artificiale che spesso vedi sopra la città, degli odori e dell’aria che respiri”.
“Capisco” le rispondo e butto ancora un’occhiata di sotto. Fa caldo anche se siamo in aprile. Ricordo che quando le è venuta l’idea di partire per farmi vedere questa cosa, stavamo seduti in un bar, con una birra ghiacciata posata sul tavolo.
“Allora? Che ne pensi?”Non rispondo, lascio un po’ di silenzio. Mi viene da ripensare a quelle altre volte in cui mi aveva portato davanti a strutture simili a questa. Era sempre giorno e lei scattava fotografie da mandare ai suoi amici, per la causa. Ora mi viene da chiedermi se anche quegli altri complessi industriali, la notte, potessero rilasciare tanto splendore elettrico. Lei torna a domandarmi che ne penso e io posso solo guardare sotto di noi sull’acqua. Vedo la seconda industria riflessa con le sue decine e decine di luci. E pensare che in fondo, non appare tanto pericolosa. Riflessa lì, come un miraggio, sembra essere la sorella buona di quella dinnanzi a noi. Vista da qui, sul liquido calmo e pacifico del canale, pare come desiderosa di essere amata. Coccolata. Non pretende tanto, solo un istante, un momento, un attimo in cui chiedere perdono.

2 commenti:

Glauco Silvestri ha detto...

Carino :D

Anonimo ha detto...

Molto bello...