lunedì 1 marzo 2010

Giallo di Romagna mi intervista

Vi riporto un'intervista che Alessandro Anguilano mi ha fatto qualche giorno fa. Sono veramente riconoscente (fa anche rima) all'Associazione Giallo di Romagna, con la quale avrò un incontro tra non molto... ma poi ve ne parlerò. Intanto ecco l'intervista (presa da Facebook):


Ho avuto la fortuna di leggere i libri di Massimo Padua. Ho avuto la fortuna di emozionarmi con i suoi personaggi, di viverli grazie alle precise ed efficaci descrizioni, di sentirli miei amici, miei compagni in quell'avido sfogliare di pagine. Un libro di Padua lo metti via solo dopo essere arrivato alla fine, con la forte tentazione di ricominciare da capo. I suoi numeri sono 3 romanzi in 5 anni, 3 premi letterari, 11 racconti in altrettante antologie. I suoi testi sono adottati da diverse classi dei licei di Ravenna. Come lui stesso racconta attraverso il suo sito web, ha compiuto studi in campo artistico, è stato cantante di pianobar e attore teatrale, ma soprattutto è uno scrittore romagnolo.

Per uno scrittore che vive ad Alfonsine la prima domanda è quasi obbligata. Cos’è per te, persona e scrittore, la Romagna?La Romagna è una terra che amo profondamente, dalla quale fatico a separarmi e nella quale mi auguro di vivere per sempre. Io ho vissuto fino ai quindici anni a Marina di Ravenna, un paese che mi è rimasto nel cuore, anche se non posso negare che, oggi, non lo riconosco più. O meglio, mi sembra piuttosto ovvio che quello che io ricordo non corrisponda più alla realtà attuale. Sono una persona che a volte tende a rimuginare sulle vecchie esperienze, a ricordare il passato, e per me tale passato è imprescindibile da Marina di Ravenna.

Considerando tutti gli elementi che hanno generato le tue storie, c’è un luogo in particolare in cui essi convergono e che riconosci come scenografia ideale?In tutti i racconti e i romanzi che ho scritto precedentemente alla Luce blu delle margherite (ci sono almeno quattro/cinque romanzi rigorosamente inediti e una trentina di racconti), non ho mai voluto circoscrivere le vicende in un’area troppo riconoscibile. Non so perché procedessi in quel modo, forse perché mi piace pensare che un lettore debba essere libero di immaginare ciò che vuole e immedesimarsi liberamente nei personaggi, cosa che probabilmente risulterebbe più difficoltosa se la scenografia fosse soffocata da descrizioni troppo dettagliate. Poi è successo che ho scritto “La luce blu delle margherite”, un romanzo strano che non avrei mai pensato di realizzare. Si tratta di una sorta di autobiografia criptata, contaminata da evidenti incursioni nel fantastico, ma che resta a grandi linee una narrazione quanto più fedele dei miei primi trent’anni di vita. In questo caso, non ho potuto esimermi dal raccontare la città di Ravenna, e in particolare Marina. È stata una grande novità, per me, perché mi sono reso conto che potevo parlare di me senza troppi timori di mostrare le mie fragilità... e descrivere le ambientazioni mi è stato di profondo aiuto. E lo stesso vale per gli altri due romanzi. La storia de “L’eco delle conchiglie di vetro” è ambientata a Marina di Ravenna, anche se non è mai citata, mentre nel recente “L’ipotetica assenza delle ombre” le vicende si snodano tra Bologna e Ravenna. Perciò, rifacendomi un po’ alla risposta precedente, diciamo che la provincia di Ravenna, con la sua storia importante, le sue spiagge, le pinete, le fabbriche e il porto, mi pare uno scenario ideale dove far muovere i miei personaggi e far vivere le mie inquietudini.

È facile imbattersi in definizioni che indicano il genere noir come un sottogenere del giallo. Oltre a raccontare e risolvere un crimine, un libro noir ha lo scopo di portare il lettore a riflettere, rispetto a quello che ha letto, sulla realtà che lo circonda. Condividi questa classificazione?Non completamente. Negli ultimi tempi si tende a confondere il giallo con il noir. Per quel che mi riguarda, ritengo che il noir sia un genere secondo a nessun altro. Nelle trame a tinte fosche, non è necessario inserire elementi quali omicidi o la risoluzione degli stessi attraverso figure quali ispettori, investigatori e via dicendo. A me personalmente interessano molto di più la psicologia dei personaggi, il “nero” che si cela in ognuno di noi, le ombre con le quali siamo costretti a convivere o delle quali vogliamo liberarci. Il noir è più una condizione dell’anima, e le indagini più accattivanti sono per me quelle rivolte all’interno della nostra persona.

Quando ci siamo conosciuti, hai allontanato da Massimo Padua scrittore l’aggettivo noir, poi hai sorpreso il tuo pubblico con “L’ipotetica assenza delle ombre”, e attraverso il tuo blog dici che questo romanzo ha segnato una via da percorrere. Noi di Giallo di Romagna siamo un po’ di parte, ma possiamo sperare in un altro romanzo noir?Posso dire assolutamente sì. In realtà, avendo esordito con un romanzo delicato, piuttosto lirico e a tratti poetico come “La luce blu delle margherite”, i miei lettori tendono a identificarmi, a inserirmi all’interno di questa etichetta. Certo, anche “L’eco delle conchiglie di vetro” rispettava in buona parte queste caratteristiche. Ma devo ammettere che mi trovo molto più a mio agio nel descrivere storie e intrecci più complessi e, anche questo non posso negarlo, mi piace l’idea di suscitare nei lettori tensione e desiderio di scoprire i risvolti più terrificanti degli eventi. Il prossimo romanzo che ho in mente, per esempio, potrebbe perfino essere contaminato da influenze quasi horror... ma senza esagerare: in fondo, per quanto cerchi di nasconderlo, sono una persona molto sensibile!

Parliamo di te. Prova a fare un salto a 6 anni fa, quando ancora non avevi pubblicato il tuo primo romanzo “La luce blu delle margherite” (vincitore del Premio Opera Prima Città di Ravenna nel 2005, e del Premio Ancora 2005, seconda ristampa nel 2010). Cosa vorresti dire a quel Massimo?
Sei anni fa non avevo idea di quello che mi sarebbe successo. Mi divertivo semplicemente a scrivere delle storie che poi leggevano solo alcune persone fidate. Sono sempre stato molto insicuro e non ho mai avuto il coraggio, prima di allora, di sottoporre i miei lavori a qualche editore. Poi ho avuto la fortuna di vincere il premio Opera Prima, e da lì si è aperta una strada che, per quanto impervia e difficoltosa, credo sia una delle più intriganti che ci siano. Perciò, al Massimo di sei anni fa, direi di stare più tranquillo, di lavorare sodo e di non temere più (o almeno non così tanto) il confronto con gli altri e soprattutto con se stesso. In fondo, fare i conti con le proprie ombre, può essere perfino divertente!